lunedì 12 marzo 2012

L'Africa a pezzi


La triste vicenda dell'ingegner Lamolinara non fa certo onore all'Italia che, per quanto assurdo possa sembrare, nonostante avesse un connazionale tra gli ostaggi detenuti in Nigeria non è stata coinvolta minimamente da chi si preparava a liberarli. Sarà che il Belpaese non brilla più da molto nelle questioni internazionali, per parlare dell'assenza di una qualsiasi visione strategica, e la controversia dei maro' in India è un'ulteriore conferma di tale percezione. Non va comunque meglio a chi come la Gran Bretagna cerca sempre di giocare un ruolo da protagonista, raccogliendo però dei risultati a volte discutibili come è accaduto nel fallimentare tentativo di salvare Lamolinara e il suo collega inglese dalle grinfie della setta islamica dei Boko Haram.
Questo non è solo di uno dei tanti rapimenti in stile Al-Qaeda, perché negli ultimi anni la Nigeria sta assistendo ad un crescendo di violenza (come gli attentati dello scorso Natale e molto altro hanno dimostrato) che vede opposti i Boko Haram al Presidente di etnia cristiana Goodluck Johnatan. Fu proprio l'elezione di quest'ultimo a spostare pesantemente il baricentro politico del paese verso il sud ricco di petrolio, lasciando buona parte della popolazione interna nel dubbio se fidarsi o meno di un governo dominato da quegli stessi gruppi cristiani che hanno aderito al Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger (Mend) e che non usano meno violenza quando si tratta di sedare il malcontento con l'Esercito.
A fare compagnia alla Nigeria purtroppo ci sono molti altri paesi. Qualche giorno fa si è già parlato della difficile situazione nel Sud Sudan e le recenti provocazioni di Al-Bashir, che si dice disposto addirittura a reggere il confronto con l'America, non lasciano intravedere una soluzione imminente. Molto più ad ovest abbiamo invece il Mali che sta subendo l'avanzata dei separatisti tuareg, i quali dopo l'occupazione di diverse città nelle regioni più orientali si accingono a riconquistare Tessalit, consolidando così il loro controllo sull'area.
Dall'altra parte del continente abbiamo invece l'esito non proprio entusiasmante della conferenza di Londra sulla traballante Somalia. Qui gli interessi dei partecipanti purtroppo sembravano più orientati a mantenere il controllo della questione pirateria e a tutelare gli approvvigionamenti energetici che a gettare solide fondamenta in una compagine statale sull'orlo della dissoluzione. Un rischio che in Libia invece è meno grave, ma comunque presente visto che la scorsa settimana il Consiglio nazionale di transizione si è visto richiedere da Bengasi una maggiore autonomia per la Cirenaica, dove abbondano pozzi petroliferi e milizie disposte ad insistere con le armi qualora le parole non dovessero bastare. Altro che primavera araba da queste parti.

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