lunedì 5 marzo 2012

Un'asimmetria elettorale


Il 2012 è un anno significativo non solo per i timorati di apocalissi maya, ma anche per tre importantissimi appuntamenti elettorali (Russia, Francia e Stati Uniti) e l'imminente Congresso del Partito Comunista Cinese. Ieri si è svolta intanto la prima di queste consultazioni, vale a dire le presidenziali russe, anche se è difficile trovare qualcosa di appassionante nel raccontarla. Costretto a cedere temporaneamente il Cremlino al fido Medvedev per il limite costituzionale di due mandati presidenziali consecutivi, Putin ha avuto il suo trionfale ritorno con oltre il 60% di preferenze e la possibilità di tenere un mandato di due anni più lungo.
A questo punto qualcuno starà già speculando sulle prossime elezioni nel 2018, le quali potrebbero dare al buon vecchio Vladmir una longevità politica da record sovietico, anche se è lecito dubitare che la Russia di allora sarà ancora in grado di esaudire l'attuale volontà di potenza. Esistono infatti molte incognite (costi e sostenibilità) sulla durata della sua rendita energetica, come pure sulla proiezione che potrà avere in un vicinato che Cina ed Unione Europea (sempre che questa non imploda per le proprie storture) stanno allontanando progressivamente dal suo abbraccio. A quel punto ben poco impedirebbe di tornare alla disillusione e alla disintegrazione degli anni Novanta, il cui coma è certamente finito ma ha lasciato l'orso in una lunga e non ancora superata convalescenza. 
Passa quasi in sordina invece un'altra elezione che si è svolta in Iran per rinnovare il Parlamento. Anche qui all'apparenza è il trionfo del conservatorismo, perché nonostante i candidati di Ahmadinejad abbiano incassato una sonora sconfitta a gioire non sono i riformisti, ma i deputati vicini alla Guida Suprema Ali Khamenei. Il risultato in realtà è l'ultimo atto di una rivalità tra le due massime autorità del paese scatenata dalle manovre del Presidente di rafforzare il proprio potere a scapito delle autorità religiose e che per questo vede ora compromesso il futuro della sua fazione. 
Altra questione cruciale è il volto che avrà la politica estera di Teheran, dopo che l'assertività di Ahmadinejad ha portato al contempo ad un ruolo maggiormente incisivo dell'Iran nel mondo (abbozzando un rapporto con l'arcinemesi americana) ma ha sollecitato più del dovuto i nervi israeliani, che leggono nella rinnovata iniziativa iraniana un piano volto a mobilitare il fronte musulmano contro di loro. 
Si presume quindi che con l'ago della bilancia a favore di Khamenei l'Iran avrà un approccio più prudente, ossia discrezione nei rapporti con i vicini (e nessun contatto con gli Stati Uniti) allo scopo di far dimenticare l'aggressività di Ahmadinejad e alleggerire eventualmente la pressione delle sanzioni. Lasciando però aperta l'incognita nucleare, quanto basterebbe a spingere Israele ad approfittare dell'incertezza politica per scatenare il suo lungamente preparato attacco preventivo. In tal caso l'apocalisse sarebbe già una realtà più concreta. 

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