mercoledì 31 ottobre 2012

Gli occhi di Brie



Venerdì andrò a vedere uno spettacolo di e con César Brie. Non ne so assolutamente nulla, l’ho scovato casualmente con le offerte Groupon, ma è bastato leggere il nome di questo grande uomo di teatro per comprare immediatamente i biglietti. Sabato vi racconterò dello spettacolo, ma intanto colgo al volo l’occasione di parlarvi di lui.

Fino a pochi mesi fa era un nome che a malapena risuonava lontano nella mia testa, sentito o magari letto da chissà dove per caso, ma nulla di più. Ad un certo punto, poi, ho avuto modo di avvicinarmi al suo lavoro studiando la sua versione dell’Iliade, vedendolo a teatro in Karamazov e, soprattutto, avendo la fortuna di partecipare ad un incontro con gli studenti tenutosi nella mia università.
I suoi occhi e le sue mani difficilmente non ti si imprimono dentro. A prima vista è una sorta di hippy curatissimo, dall’età non definita, con una lunga coda di cavallo di capelli bianchi che parla un eccellente italiano con un interessante accento, forse di qualche paese di lingua spagnola. Le cose che dice, con una voce profonda, che si esprime al di là delle parole catturano e rimangono, diventano tue, come se fossero ataviche.
Brie è argentino, profondamente legato alla sua terra, ma ha vissuto per moltissimi anni in esilio a Milano. La sua cultura è spaventosa, racchiude il mondo europeo e quello sudamericano, spazia dall’Iliade alla cultura popolare boliviana (“Finchè qualcuno ci ricorda non si è morti”, detto boliviano).

In occasione dell’incontro con gli studenti ha raccontato la sua visione del Teatro o, per meglio dire, ci ha fatto vivere cos è il Teatro, la sua essenza, semplicemente grazie alla sua presenza e alle sue parole d’amore per la forma d’arte.
Arte, che deve inquietare, deve essere una terapia che porta alla conoscenza attraverso la bellezza. Il teatro è la forma d’arte più intima e, infatti, raramente ho provato delle emozioni così forti, come se le stessi vivendo io in prima persona, come vedendo Karamazov. La violenza, semplicemente evocata in scena, perché il teatro è il luogo della metafora, non per forza naturalista, era come se la stessi subendo io e non un attore pagato per compiere dei gesti studiati e recitare delle battute scritte da altri anni e anni prima. Brie definisce il teatro come poesia di scena, perché il testo da un lato spiega, dall’altro è poesia. L’azione, invece, non deve per forza coincidere pedissequamente col testo. Testo e azione, insieme, formano un concetto unitario, che poi diventa poesia di scena, appunto. Per questo è inutile leggere e studiarsi il testo mentre si assiste ad uno spettacolo come fanno in molti, che spesso vorrebbero spacciarsi forse per più intellettuali degli altri…

Le cose da raccontare sarebbero mille, ogni frase aprirebbe una parentesi di un pezzo a sé stante, ma purtroppo per ora mi fermo qui.
Vi consiglio vivamente di andare a vedere uno spettacolo di Brie, anzi ve lo impongo! Vi resterà impresso e vi catturerà a prescindere dal testo e da ciò che dice. Non ve ne pentirete!

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