sabato 20 ottobre 2012

"La discesa di Orfeo": Tennessee Williams al Teatro Elfo Puccini di Milano



Dal 16 ottobre 2012 al 4 novembre 2012 va in scena, al Teatro Elfo Puccini di Milano, La discesa di Orfeo, dramma datato 1957 di Tennessee Williams. La regia è stata affidata a Elio De Capitani, colonna dell’Elfo, che, dopo il debutto di questa estate al Festival dei due mondi di Spoleto, lo porta in scena per la prima volta in Italia. Dallo stesso testo è stato tratto anche il film Pelle di Serpente del 1959 con Anna Magnani e Marlon Brando.

Il testo è ambientato in un paesino qualsiasi del profondo sud degli Stati Uniti all’epoca del Proibizionismo e della Grande Crisi del ’29 e, di conseguenza, contrassegnato con forza dai temi del razzismo e del continuo dualismo tra modernità e convenzioni. É pregnante la dominazione WASP (White Anglo-Saxon Protestant, ovvero bianco, anglo sassone e protestante, acronimo usato per identificare l’etnia predominante negli Stati Uniti, ovviamente valida solo per gli uomini), la paura del diverso ed il disprezzo della donna, alla quale Williams, però, non da di certo un ruolo secondario.
Il personaggio principale, infatti, è Lady (Cristina Crippa), donna non più giovane di origini italiane, comprata in gioventù dall’ormai malato ed anziano Jabe (Luca Torracca) che ebbe un ruolo chiave nel suo dramma di gioventù. L’odio di Lady nei confronti del marito caratterizzerà tutto il loro matrimonio, raggiungendo l’apice con l’arrivo del giovane Val (Edoardo Ribatto), bello e maledetto, che, toy boy ante litteram, diventerà commesso ed amante di Lady.

Gli attori, tutti già molto apprezzati in altre messe in scena, non deludono, bravi, convincenti, forti ed affiatati. Il testo, è quasi equiparabile alla tragedia greca per la continua crescita di pathos che si risolve nel dramma finale. Persino i personaggi apparentemente secondari sono fondamentali, sfaccettati e con una presenza scenica non da meno di quella dei personaggi principali. Il coro, composto dagli attori stessi, ha un ruolo importante per l’azione scenica.
De Capitani decide di mettere in scena questo dramma come se si assistesse ad una prova teatrale. Gli attori, infatti, sono già tutti in scena quando il pubblico entra, e sarà così per l’intera durata dello spettacolo. Sono seduti intorno al tavolo in una qualsiasi sala prove che non riproduce fedelmente gli ambienti richiesti dal testo di Williams, ma li cita efficacemente. É riconoscibile il regista (sciarpa e occhialetto tondo ne incarnano lo stereotipo perfetto) che legge le prime indicazioni e didascalie. Per tutto lo spettacolo gli attori giocheranno con lo spettatore diventando personaggio e, improvvisamente, voce fuori campo, che legge le indicazioni di regia lasciateci dall’autore, facendo, così, emergere le psicologie sfaccettate dei personaggi. Lo spettatore si trova spaesato e, quindi, più vigile, attento, in questo fuoco incrociato tra spettacolo e meta-spettacolo.
Insieme agli attori è sempre in scena una chitarrista che con la sua chitarra elettrica sottolinea l’azione.

Sulla carta lo spettacolo avrebbe tutte le carte in regola per essere un capolavoro ma, purtroppo, la sensazione che prevale è di incompletezza, di “mancanza di qualcosa”. Come se si fosse davanti ad un puzzle bianco: tutti i pezzi si sono incastrati alla perfezione, non ci sono altre possibilità di giungere alla soluzione, eppure, il puzzle finito non restituisce un disegno, ma un rettangolo bianco.

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