martedì 13 novembre 2012

Siria - Autunno siriano


Molti analisti concordano, o meglio sperano, che l'imbarazzante assenza dell'America durante le rivolte nel mondo arabo venga riscatta dal secondo mandato di Obama, a cominciare proprio dallo scottante dossier siriano che col passare del tempo ha dirottato l'opinione pubblica dalle fiamme dell'indignazione al carbone dell'assuefazione. Considerando gli intoppi operativi a cui deve far fronte la nuova amministrazione (Congresso ostile in primis) è difficile prevedere quale sarà la sua effettiva capacità di manovra, ma intanto il mondo arabo si muove per la sua strada e da Doha sembrano arrivare anche delle buone notizie.

Nella capitale di quel minuscolo Qatar che attraverso l'impero mediatico di Al Jazeera è stato più protagonista nelle primavere arabe del sonnolento gigante a stelle e striscie, si sono riunite infatti tutte le opposizioni al regime siriano per organizzarsi in un fronte unico. Lo scopo di questa mossa è offrire un soggetto che giochi il ruolo di unico interlocutore come lo fu il Consiglio Nazionale di Transizione nella guerra civile libica e facilitare così la risoluzione di un conflitto ancora senza via d'uscita.
I paesi del Golfo e i principali paesi occidentali (Stati Uniti, Regno Unito e Francia) non hanno tardato a manifestare il loro sostegno alla nuova Coalizione Nazionale Siriana, ma c'è bisogno di fare molto più che complimentarsi con una ribellione che fatica a piegare un governo che da parte sua non ha maggiori chance di prevalere.
L'allontanarsi della risoluzione nel frattempo ha ridotto il paese in una specie di terra di nessuno, dove i lealisti bombardano indiscriminatamente le città e i ribelli sono talmente assetati di vendetta da compiere delle rappresaglie non meno criminali. Inoltre il caos che si sta creando inizia a mietere il suo primo tragico raccolto, ovvero la crescente destabilizzazione dei vicini che possono essere deboli come il Libano, vittima quasi passiva dello sconfinamento delle violenze, o più pericolosi come una Turchia e un'Israele che sono sempre tentati di rispondere agli attacchi lungo le frontiere. 
Una rottura dello stallo di Damasco a favore dei rivoltosi potrebbe anche avvantaggiare Obama nel confronto con l'Iran, il quale perdendo un prezioso alleato e avamposto nella regione si troverebbe costretto a ridimensionare le sue pur legittime ma al momento troppo aggressive ambizioni regionali. Potrebbe anche accadere il contrario rendendo Teheran molto più nervosa di quando aveva ancora degli amici in zona. Ma restare inerti a guardare la tempesta che cresce non garantirebbe di sicuro uno scenario migliore...

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