venerdì 30 novembre 2012

Palestina - Un giocatore chiamato Abu Mazen

Abu Mazen come ogni buon politico che vuole lasciare il proprio segno nella storia, aveva proprio bisogno di questo voto dell'Onu. Finora l'erede di Yasser Arafat aveva raccolto soltanto perplessità e sconcerto per una leadership corrotta e apparentemente incapace di rispondere a tono alle prevaricazioni del vicino israeliano. E che secondo qualcuno avrebbe favorito indirettamente l'ascesa del gruppo più radicale di Hamas, che con i suoi lanci di razzi da Gaza e le conseguenti rappresaglie israeliane avrebbe riportato il processo di pace indietro di decenni. L'attesa per giovedì era perciò trepidante.

Alla fine Mazen ce l'ha fatta e la sua proposta sul riconoscimento della Palestina come Stato non membro delle Nazioni Unite ha incassato un'ampia maggioranza di sì e astensioni a cui nulla hanno potuto le prevedibili opposizioni di Stati Uniti e Israele. D'ora in poi la Palestina non è più una vaga entità, ma un'organismo giuridicamente riconosciuto, status che schiude ai palestinesi una serie di porte negoziali tra cui la possibilità di portare Israele di fronte alla Tribunale Penale Internazionale o alla Corte Internazionale di Giustizia per i crimini che avrebbe commesso negli anni dell'occupazione.
Ma togliendo l'entusiasmo e il valore morale di questa vittoria, per risolvere il conflitto servirà ben altro che le parole uscite da un Palazzo di Vetro. La sinergia israelo-statunitense resta sulla carta ancora più forte di qualsiasi schieramento pro-Palestina, che negli ultimi anni è comunque divenuto molto più forte e legittimato come dimostra anche la conquista di un riconoscimento che ai tempi di Arafat sarebbe stato qualcosa d'impensabile. Per questo chi è più forte non dovrebbe ignorare questi cambiamenti. O invece di sciogliere i nodi del conflitto se ne troverà di nuovi e più insidiosi.

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