mercoledì 20 febbraio 2013

A Good Day to Die Hard: non c'è pace per John McClane


Non c'è pace per John McClane: nemmeno in vacanza il determinatissimo detective potrà riposare. Giunto in Russia per capire che tipo di vita stia conducendo il figlio si ritroverà in Die Hard, un buon giorno per morire, come al solito, a dover salvare la situazione contro un impensabile piano terroristico per la conquista di un'ingente quantità di armi nucleari...

Ma la sfida più grande non riguarda pallottole e sparatorie: John dovrà nel frattempo recuperare un rapporto con un figlio mai capito e trascurato. Il personaggio di John McClane Junior, per tutti Jack, è volutamente diverso da suo padre: attaccato al protocollo, forzatamente incapace di improvvisare, un agente della Cia infiltrato che si sta occupando di un rifugiato politico.
Dunque un’inquietante doppia competizione che vede McClane legato ad un filo che coinvolge i terroristi ed un figlio solo apparentemente irriconoscente.
Una pellicola insomma dagli spunti interessanti, con un ottimo ritmo e a cui fa bene il distacco dalle solite ambientazioni americane. Anche se in effetti la Russia non rappresenta una grande originalità narrativa per i film targati Usa, c’è da notare che il film è certamente capace di trasmettere una certa freschezza narrativa all’interno di un’ambientazione nuova (riuscitissimo l’inseguimento iniziale per le vie di Mosca) nonostante siamo ormai giunti al quinto capitolo ad otre 25 anni di distanza dal primo, indimenticabile, Trappola di Cristallo.

La ricetta di questo successo? Sempre la stessa: McClane non rappresenta l’icona eroica tradizionale con una grandissima fisicità, stile Schwarzenegger, ma è in realtà un antieroe perfetto, determinato, duro ma non incapace di provare paura e tensione. Rappresenta la proiezione di ognuno di noi o meglio la personificazione di ciò che in determinate situazioni ognuno di noi vorrebbe essere e questo valeva negli anni ’80 così come oggi e rappresenta l’inconfessato segreto di questa longevità pluridecennale. La forza del personaggio sta nella sua capacità di suscitare un processo di immedesimazione pluri-generazionale vincente al botteghino, avvicinando una vera e propria comunità di generazioni al franchise di Die Hard.

Altra arma di successo è la diversa concezione data alla continuity: i film sono tutti delle vicende chiuse, nonostante assistiamo al trascorrere della vita del personaggio principale ogni storia si conclude nell’arco narrativo del singolo film (una piccola eccezione riguarda il terzo episodio dove il villain è fratello di quello del primo capitolo) e questo può rappresentare un importante fattore di indipendenza delle storie che non stanca il pubblico. Insomma ogni pellicola paradossalmente potrebbe essere l’ultima, questo è un elemento da non sottovalutare nell’analisi di una insolita longevità, rara nel mondo del cinema di oggi che è costruito essenzialmente su tragici remake o reboot. Poche le saghe che come questa, ad esempio Indiana Jones, ancora non siano arrivate all’inevitabile riavvio.







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