venerdì 5 aprile 2013

Offshore Leaks - Il gran tesoro dei pirati


Un’evasione grande quanto il doppio del Pil statunitense: 32 mila miliardi di dollari. Una montagna di dati cento volte più pesante di Wikileaks, che al confronto sembra un riassunto di un libro per ragazzi. Lo scandalo Offshore Leaks non risparmia schiaffi a nessuno. Ai contribuenti per primi che dopo essere stati schiacciati ed impoveriti dal rigore si sentono veramente presi in giro. Ma soprattutto alla finanza che troverà difficile continuare a giustificare agli altri il soccorso dell’austerity mentre nascondeva una ricchezza a dir poco sconfinata nelle isole sperdute del Pacifico o del Mar dei Caraibi. E il terremoto signori è appena cominciato.

Tutto inizia da un piccolo hard disk spedito in una busta a decine di giornalisti delle più importanti testate internazionali come il Washington Post, Le Monde, The Guardian e il Suddeutsche Zeitung. Dentro ci sono più di 250 gigabyte di documenti da parte dell’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), un’associazione di giornalisti che vuole essere per sua stessa definizione un “watchdog”, ossia un cane da guardia, della criminalità e della trasparenza a livello internazionale.  
I giornalisti che si occupano di studiare i file si rendono subito conto di una realtà di cui erano già consapevoli da tempo, ossia il ricorso diffuso ai paradisi fiscali per evadere le tasse o riciclare denaro sporco. La vera bomba è che stavolta hanno tra le mani una prova concreta, addirittura una lista di nomi e cognomi che scoperchia un buco nero di sommerso da far venire le vertigini a chiunque. Mettendo sullo stesso piano imprenditori, politici, uomini della finanza, dittatori e trafficanti d’armi.
Tanti i nomi eccellenti coinvolti in modo più o meno diretto a cominciare da banche di quel mondo germanico-rigorista tra cui Deutsche Bank, Ubs e Credit Suisse. In Francia le rivelazioni sono andare a toccare il cuore della politica con Jean Jacques Augier, il tesoriere della sua campagna elettorale di Hollande, in Russia arrivano ai vertici della Gazprom e in Azerbaijan persino allo stesso presidente Aliyev. L’Italia non è da meno con duecento nomi che comprendono il commercialista di Tremonti, Gaetano Terrin, e molti altri che lavoravano per conto delle più importanti aziende italiane. C’è posto anche per un hacker, Fabio Ghioni, coinvolto nello scandalo Telecom. Per ora non si tratta che di uno sguardo dal buco della serratura. E il bello in realtà deve ancora venire, ahrrr.

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