lunedì 6 maggio 2013

Italia - Andreotti e la vedova Borsellino, la morte agli antipodi della Prima Repubblica

Come ama il destino giocare degli strani scherzi, facendo dipartire a poca distanza l'uno dall'altro due figure che rappresentano un'epoca tanto nelle sue luci che ombre. Una si chiamava Agnese Borsellino, moglie di un uomo divenuto martire suo malgrado per essersi ostinato a fare il suo dovere. L'altro lo conoscevamo con tanti nomi, il Divo, Belzebù o semplicemente Giulio Andreotti, astuto governante dell'Italia che rinasceva dalle ceneri della guerra ma avrebbe macchiato presto la sua nuova giovinezza con trame ancora oggi mai del tutto svelate.
Quante battute sulla longevità del decano della Repubblica, mentre uno dopo l'altro se ne andavano i suoi comprimari lasciandolo solo in un Paese irriconoscibile, lui che l'aveva traghettato in acque rese tranquille solo dai tanti compromessi a cui sottostava la nostra umile Italia. A cominciare dai legami che ci ancoravano all'Atlantico, con il quale eravamo schierati nel disegno di quel grande gioco che combatteva la schiera socialista non a viso aperto, ma dietro le quinte con l'inganno, lo spionaggio o con l'ausilio di forze oscure da cui lo Stato non poteva prescindere come il Gladio.
La volontà di conservazione si dice che spinga i potenti a fare il patto con il diavolo, al quale per dargli parvenza più terrena potremmo dare il nome di Junio Borghese (che cercò di rovesciare la neonata repubblica, ma per qualche ragione decise infine di desistere), i massoni del Gelli (dove ebbe modo di affermarsi il ben noto Cavalier Berlusconi), i rapitori di Aldo Moro e la morte del giornalista Pecorelli, per concludere - tornando a dedicarci alla compianta Borsellino - con la stessa mafia siciliana per la quale il nostro Andreotti venne persino condannato scampandola grazie al riparo della prescrizione. Troppi i dubbi, scarse le certezze per mettere la parola fine a queste pagine interrotte e l'interessato sentendo approssimarsi l'ora doveva essersi fatto scappare un sorriso compiaciuto. Che fosse colpevole o innocente la miglior cosa per lui che amava ironizzare su se stesso e sugli orrori che gli attribuivano era di lasciar i posteri con sempre il dito a grattar la fronte.



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