venerdì 19 luglio 2013

Cina - Laojiao, la rieducazione alla pechinese

Tang Hui fotografata da New American Media
Quando sentiamo parole come gulag, lager o campi di concentramento la mente va subito a tempi lontani, alla seconda guerra mondiale o la Russia di Stalin. Una notizia di pochi giorni fa ci ha ricordato che in alcuni paesi quest'orrore è ancora una realtà attualissima e le autorità vi ricorrono per motivazioni così assurde da essere riuscite ad indignare un popolo che credevano a torto assuefatto. Tutto è partito da una madre cinese, Tang Hui, che nel 2006 visse quello che si potrebbe definire uno dei peggiori incubi di una madre.

All'epoca la figlia di undici anni di Tang fu rapita da un gruppo di uomini che la ridussero in una schiava sessuale. Dopo aver tentato inutilmente di chiedere aiuto alla polizia locale dell'Hunan (Cina meridionale), la madre riuscì per conto proprio a liberare la sua piccola, facendo successivamente condannare i responsabili del rapimento. 
La storia sarebbe finita qui se questa donna determinata non avesse superato una linea rossa che agli occhi dello Stato l'avrebbe trasformata da vittima a colpevole da perseguire. Voleva che le indagini non si fermassero ai semplici esecutori, ma che toccassero anche i mandanti che forse avevano determinato tanta inerzia da parte delle autorità locali. Lo chiedeva apertamente in pubblico, piazzandosi davanti ai tribunali in segno di protesta e scrivendo continuamente alla Corte di giustizia di Pechino finché un giorno la polizia non l'ha arrestata come disturbatrice della 'stabilità sociale' e spedita immediatamente in uno dei famigerati 'laojiao', i campi di rieducazione che in realtà non furono un invenzione propriamente maoista (ai tempi della Cina imperiale il lavoro forzato era una pratica molto diffusa), ma divennero una forma di repressione comune durante gli anni più feroci del governo socialista tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta della Rivoluzione Culturale. Particolarmente rilevante a questo riguardo fu la testimonianza del professor Harry Wu, che passò quasi vent'anni in questi luoghi di prigione, tortura e schiavitù prima di fuggire negli Stati Uniti dove raccontò la sua esperienza nel bestseller Controrivoluzionario. I miei anni nei gulag cinesi.
Oggi il governo cinese ha sostituito i vecchi laogai con i più presentabili  'laojiao', che a parte il nome e le ridotte dimensioni mantengono tutte le vecchie abitudini e ospitano soprattutto i seguaci della setta Falun Gong, movimento di natura spirituale che alla fine del secolo scorso era arrivato ad avere più simpatizzanti del Partito Comunista, facendo sentire quest'ultimo minacciato dall'ascesa di un potenziale rivale ideologico. A volte come nel caso di Tang Hui i laojiao servono a gettarci coloro che alzano un po' troppo la voce. Questa volta però la decisione presa dalle autorità non è passata inosservata e ha scatenato un'inaspettata rabbia della gente. Per questo Tang, che avrebbe dovuto scontare un anno e mezzo di detenzione, è stata liberata dopo pochi giorni con tanto di risarcimento di tremila yuan (circa trecento euro). Se questo sia il primo passo verso una riforma del sistema di rieducazione annunciata per quest'anno non è dato saperlo. Il rifiuto di scuse formali per la vicenda di Tang da parte di chi aveva deciso la sua frettolosa deportazione non è sicuramente un segno incoraggiante. 


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